“El naturale in fra de gi uomeni e le femene è la più bela cosa che sipìa” Angelo Beolco, detto Ruzzante (1496-1542)

Il Ruzzante, così chiamato dal nome di un suo personaggio, è il più grande autore di teatro che l’Europa abbia avuto nel Rinascimento prima ancora dell’avvento di Shakespeare.
Commediografo, attore, capocomico, ha anticipato maschere ed intrecci tipici della commedia dell’Arte ed ha saputo fondere il tragico e il comico in maniera tale che l’Ariosto, suo contemporaneo, lo definì ‘meraviglioso’.
Uomo estremamente colto, Ruzzante si opponeva ai ruoli convenzionali sia nella società che nella letteratura, prendendosi gioco dei saccenti e degli accademici. Le sue opere furono censurate per tre secoli in seguito alla Controriforma; riscoperte dai Francesi, tornarono sulle scene italiane soltanto nel secolo scorso.
Le commedie del Ruzzante si rifanno ai ‘mariazi’ tradizionali e alle farse oscene di derivazione boccaccesca: nel linguaggio fortemente realistico del dialetto pavano, sono rappresentati i temi di sempre, come le fatiche del lavoro ma anche i piaceri della vita, il contrasto fra città e campagna, l’ingiustizia sociale … Il contadino Ruzzante ci mostra, pur nello scherzo e nell’ironia, le tensioni che colpiscono gli strati sociali più umili, la violenza dell’agire umano e l’ assurdità del ‘roerso mondo’ – il mondo alla rovescia –.
Mario Pirovano mette in scena, sotto forma di monologhi, quattro pezzi del Ruzzante ricostruiti da Dario Fo in un linguaggio che ne permette la facile comprensione al pubblico di oggi, pur mantenendo la traccia del dialetto originario. Sono i testi che ha recitato nel gennaio 2015, per la prima volta in Belgio, a Bruxelles.

“ORAZIONE AL CARDINAL MARCO CORNARO” Questo monologo, riconosciuto come un capolavoro dell’ ‘ars oratoria’, descrive la vita dei contadini che vivono nella campagne tra Padova e Venezia. Il portavoce della comunità rurale, Ruzzante, uomo semplice ma di grande vitalità e giocondità, chiede al Cardinal Cornaro di introdurre nuove leggi basate sul piacere e sui bisogni naturali per liberare il popolo dalle costrizioni della morale e dalla soggezione alle classi privilegiate.
“IL PARLAMENTO DE RUZANTE CHE IERA VEGNÙ DE CAMPO” E’ il ritratto sarcastico del contadino Ruzzante che, in un periodo di forti sconvolgimenti sociali, era andato alla guerra per far bottino ma non ha combattuto, perché preferisce essere un codardo vivo che un eroe morto. Tornato a casa in uno stato pietoso, cerca la sua donna, la Gnua, ma questa lo disprezza e gli preferisce un ricco ‘bravazo’ che la fa vivere negli agi in città. .
“DIALOGO TRA GALILEO E IL CONTADINO NALE” E’ il dialogo scherzoso tra un saccente accademico e il villano Nale, che parla un rozzo linguaggio pavano ricco di fantasiose immagini astronomiche. Fu lo stesso Galileo a comporre questo canovaccio grottesco ‘alla Ruzzante’, per esporre le sue nuove intuizioni in maniera ironica e mascherata, consapevole dei pericoli del Sant’Uffizio.
“LA VITA” Il Beolco, rivolgendosi ad un attore della sua compagnia, offre in forma appassionata ed ironica una riflessione sul significato dell’esistenza umana, sulla morte, sulla dignità del vivere in modo consapevole e sul senso divino della creazione.